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Ilaria Molinari: Una sirena che toglie il fiato

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Parliamoci chiaro. Dimenticatevi da subito qualunque richiamo ammiccante o fluida tentazione. Tantomeno un illusorio segnale di disponibilità che coinvolge i vostri sensi. Semmai stupore, quello sì. A cui segue lo spaesamento nel vedere, meglio se dal vero (ma può bastare anche un video), l’immagine mitologica di una Sirena che nella fantasia di ognuno di noi mescola erotismo, bellezza e mistero. Tranquilli nessun canto ammaliatore e nessuna trappola come quelle descritte da Omero nell’Odissea per le figure metà corpo di donna e metà pesce. Molti secoli dopo per i Cristiani era addirittura diventata simbolo del peccato… Ecco a voi una Sirena vera: Ilaria Molinari. Nata a Latina 41 anni fa e atleta del Team Omer è la più famosa della rete (e quindi forse del mondo, visto il potere mediatico di YouTube). Il suo video più cliccato ha raggiunto ad oggi 36.186.458 visualizzazioni.

Come è nata l’idea di diventare una Sirena?
Assolutamente per caso, non ci avevo mai pensato. Era un periodo in cui ero molto impegnata. Mi allenavo per le gare ed ero già coinvolta in altre attività parallele. A tutto questo si aggiungeva il mio lavoro di interprete e traduttrice.

Poi, che cosa è successo?
In quell’anno, era il 2014, ho ricevuto una chiamata dai responsabili di Y-40. Mi chiedevano di fare un’esibizione in quanto apneista donna e in piena attività agonistica, per l’inaugurazione della piscina. Cercavano però un’esibizione diversa. Una performance estetica non di profondità.
Li ho ascoltati e alla fine della telefonata ho detto loro: ma se lo facessi vestita da Sirena? Avevo un’amica americana che faceva questo lavoro e la cosa mi affascinava. Così, senza sapere bene che cosa volesse dire e senza pensarci troppo l’ho proposto.

Che reazione hanno avuto?
Secondo me non sapevano bene che cosa aspettarsi. Tuttavia mi hanno dato l’ok. Un atto di fiducia e coraggio che ho apprezzato molto. E così, finita la telefonata, mi sono messa alla ricerca disperata di una coda…

Che reazione ha avuto il pubblico nella tua prima esibizione?
In realtà il giorno dell’inaugurazione mi sentivo un po’ in imbarazzo. L’apnea è considerata uno sport fra i più seri, io per prima lo considero così. Buttarmi in acqua vestita da Sirena, pur essendo una mia idea, in realtà, mi sembrava strano. Mi sbagliavo… Non appena mi sono tuffata in acqua il mio corpo ha iniziato a volare. Dalle vetrate potevo vedere le reazioni delle persone. Erano emozionati, affascinati, stupiti. Sia i bambini, che gli uomini, ma soprattutto, le donne. Capivo di aver centrato un obiettivo. E lo avevo fatto del tutto inconsapevolmente.

Nella Letteratura Dante e Wilde ad esempio, nell’arte Waterhouse o Klimt…, di attenzione le Sirene ne hanno avuta molta…
Si certo, il valore evocativo della Sirena è forte e loro ne avevano davanti una “vera”. L’aspetto più bello dal mio punto di vista è stato proprio questo: mettere davanti ai loro occhi ciò che avevano letto o visto nei quadri. Oppure solo immaginato.

Dall’acqua dolce a quella salata. Il passo è stato breve?
Dopo questa prima esperienza in piscina mi hanno convinto a fare un video in mare, il luogo naturale delle Sirene e da lì è iniziato tutto il resto. Visto il successo dei miei video e l’interesse sempre maggiore raccolto dalle mie performance ho capito di avere costruito un progetto importante. Non mi sarei mai immaginata di ottenere un successo del genere.

Quale è stato il rovescio della medaglia?
Prima di tutto sconfiggere un cliché. Quella della Sirena!

Cioè?
La mia idea è lontana dal richiamo sensuale di questa figura mitologica. Io mi rifiuto di mettere scaglie o paillettes per simulare la pelle del pesce o attirare l’attenzione sul mio corpo. Ho detto no alle parrucche per avere capelli lunghi e ammalianti. Voglio solo celebrare il mare attraverso questa rappresentazione e non me stessa o la mia femminilità. Non ho trucco, non ho nessuna attenzione per la forma estetica, per questo voglio andare in acqua il più naturalmente possibile.

La coda a pesce, quindi?
Mi serve per fare avvicinare le persone al mondo del mare e dell’apnea. Invece di farlo con muta e pinne che risulterebbe molto tecnico, lo traduco in un messaggio più accattivante e trasversale. Una forma curiosa per approcciare all’apnea nell’unico modo che conosco: con serietà e professionalità. Da qualche anno ho iniziato fare i corsi da Sirena in apnea per le donne. Davanti a uno stage classico pensano che l’apnea sia uno sport troppo maschio nel senso di tecnico e impegnativo: profondità, pericolo. Così invece si sentono più rassicurate. Ma la Sirena è un punto di partenza, non di arrivo. Perché in realtà insegno le tecniche di respirazione e di pinneggiata, imparano ad andare sott’acqua e la coda diventa solo un prolungamento del corpo. O forse una scusa. L’importante è reclutare nuove apneiste.

Si iscrivono per diventare Sirene o apneiste?
Molte sono attratte da questo mondo, dall’apnea intendo, ma non sanno come accedervi. Non sanno da dove iniziare. Altre desiderano solo fare un’esperienza diversa, più ludica ed estetica e quindi si fermano dopo le lezioni senza continuare con l’apnea. Il mio corso ha da subito un valore tecnico.

Lavori in Italia o anche all’estero?
La base per il corso è nella piscina dove tutto è iniziato, Y-40, ma ne ho fatti anche in altre città d’Italia. Di recente sono stata in Cina, dove ho tenuto due stage di apnea pura e due giornate da Sirena. In Asia mi hanno scoperto grazie ai video caricati su YouTube. Il pubblico cinese si è dimostrato molto interessato e l’anno prossimo ho in programma altri stage sia a Pechino che a Shanghai. Mi piace ricordare che una mia ex allieva è diventata agente di Omer in Cina, si chiama Yi Zhang.

L’apnea è diventata la tua principale attività?
Io sono un’interprete e una traduttrice (dall’Inglese, Francese e Russo n.d.r.). Questo lavoro è come fare uno sport a livello professionale. Nel senso che per tradurre simultaneamente devi allenarti all’ascolto e migliorare sempre le tue performance… Mi divido equamente fra il lavoro di traduttrice e l’apnea. Ma non faccio solo corsi per aspiranti nuotatrici con la coda, infatti sono istruttrice all’Apnea Academy dal 2004 grazie al suggerimento di Umberto Pelizzari, perché insegnare i valori e le tecniche dell’andare sott’acqua in modo naturale è molto stimolante.

Quali sono stati i tuoi record?
Nel 2005 sono orgogliosa di poter dire di avere battuto il record di Rossana Maiorca (imbattuto da 12 anni) in assetto costante monopinna con attrezzi a -65 metri di profondità. Nel 2015, dopo una lunga pausa per la nascita di mio figlio, ho fatto il record di -71 metri in immersione libera e -50 metri in assetto costante senza attrezzi. Ma il più importante lo considero quando ho partecipato alla prima edizione del Vertical Blue delle Bahamas organizzata da William Trubridge nel Blue Hole, la dolina marina più profonda del mondo. In quella gara, nel 2009, ho scoperto di essere incinta. Per cui mio figlio è stato il feto più profondo del mondo. È arrivato a -65 metri!

Apneista da sempre?
Ero una “bombolara” convinta. Poi un’estate durante un’immersione con l’erogatore a Santa Teresa di Gallura mi sono vista passare Umberto Pelizzari con le pinne lunghe e nere senza niente sulle spalle. Ricordo l’eleganza dei movimenti la fluidità di quel pinneggiare nel blu. Guardo il profondimetro: 40 metri. È stata una visione mistica. Mi sono detta che quello sarebbe diventato il mio nuovo modo di andare in mare. Così l’ultimo giorno faccio un’uscita in mare con Umberto. Ricordo ancora molto bene i suoi consigli e le sue rassicurazioni. Ci tuffiamo insieme. Primo tuffo
-16 metri, il secondo -25 metri. Capisco di essere nel mio mondo e così Umberto mi consiglia di fare un corso. Studiavo all’Università di Trieste, era il 2001, e ho fatto il primo corso a Venezia Mestre. Alla fine ho partecipato alle selezioni per i Mondiali di Apnea che si tenevano ad Ibiza e vedevano per la prima volta la partecipazione di una squadra femminile. Così mi sono ritrovata in Spagna un anno dopo avere scoperto l’apnea a partecipare a un Campionato del Mondo (ha vinto un bronzo n.d.r.).

Come hai scoperto Omer?
Ho indossato una muta Sporasub e Omer grazie a un amico che ha un grande negozio di caccia e pesca a Terracina. Il materiale del mio sponsor di allora arrivava spesso in ritardo e non era adatto alle mie esigenze e forma del mio corpo. Lui mi ha regalato una muta da usare per un allenamento. Ricordo bene che era una muta da pesca. Ho notato subito una grande qualità e attenzione ai dettagli ma soprattutto era adatta al mio corpo. Da allora indosso solo abbigliamento Omer…